La vivunisitudini vista di l'America



Mi chiamo Salvatore Midulla e le peripezie della mia vita mi hanno portato fino a Bogotá.

La Colombia è sicuramente un posto differente dalla Sicilia. I paesaggi caraibici, i paesaggi andini. I suoni tipo dell’America latina, quelli estrapolati da canzoni, documentari, film e libri si trasformano in realtà. I ritmi ti avvolgono, Salsa, Cumbia, Vallenato, in un intreccio di cultura ispanica, amerindia, afro, caraibica…. In una parola, latina. Ce n’è per tutti i gusti. Allo stesso tempo ho riconosciuto delle somiglianze con la Sicilia. La gente è molto calorosa, rumorosa. Il senso della famiglia è molto forte. Se possibile, di più. La cordialità e la gentilezza trasbordano così tanto che all'occhio ignorante di un Europeo può facilmente sembrare ipocrisia e piaggeria. I colombiani si sentono speciali e sono molto patriottici, a riprova che antropologicamente ogni cultura si sente “la megliu” e che “ogne scarrafone è bell’ a mamma so”, spostando quindi la mia concezione di siculo-centrismo verso la consapevolezza della policentricità del mondo.

Qua l’epidemia è arrivata con lo stigma ben definito per via di quello che era già successo in Italia e per questo la quarantena è cominciata sin dall'inizio, prima che i numeri potessero diventare incontrollabili. Ho assistito alla quarantena italiana senza realmente capire che stesse succedendo, perché vuoi o non vuoi, anche rimanendo in contatto telefonico giornaliero, qualcosa si perde. Finché anche qua è arrivato il lockdown, la chiusura di tutto. Le imprese falliscono, la gente ha fame. Il governo prende provvedimenti, che in qualche contesto finiscono per fallire. E’ una storia mondiale, non italiana. Gli aeroporti chiudono; in sostanza rimango qua, chissà per quanto tempo; fortunatamente in un luogo sicuro, con gente che mi aiuta.

Ho sempre avuto lo spirito di un “viajero” e non ho mai sentito la “saudade”, come qualcuno la chiama. Per dirla come un grande cantautore italiano, sono partito da un piccolo porto dove la sete era tanta e il fiasco era corto. Il mondo è grande e sono grato di viverlo. Ma citando un’altra canzone, se non dimentichi le tue radici, apprezzerai anche le altre. Perché alla fine ogni cultura è peculiare e la peculiarità è un’unità di misura relativa alla propria, di cultura.

Ho viaggiato abbastanza fino ad ora, con caratteri semiresidenziali, ma mai del tutto. Non mi sento quindi parte di coloro che lavorando in un posto, lì mettono radici, sapendo che potrebbero restarci per sempre. Ho sempre avuto la prospettiva del ritorno. Esso da un sapore differente alle cose. Il ritorno per me significa Sicilia. Mi piace ampliare il concetto alla nostra patria-isola, perché ho vissuto per molto tempo a Palermo e ho viaggiato in lungo e in largo visitando amici in qualunque agnuni di Trinacria, trovando casa ovunque. Sono affascinato dalla grande varietà culturale della Sicilia, che alcuni, a ben vedere, definiscono un Microcontinente, antropologicamente e geomorfologicamente.
Ma ovviamente e inevitabilmente, il ritorno significa soprattutto Bivona.

Bivona per me significa casa, il luogo dove sono cresciuto e dove risiedono la mia famiglia, i miei amici, i ricordi della mia infanzia, del periodo liceale. Ricordo ancora il timore che avevo di trasferirmi, a 18 anni, a Palermo per gli studi universitari. Ancora non sapevo lu scialu che è l’Università. Ma il bello di ogni età è che si vive appieno, come versione più aggiornata della propria vita, e guardandoti indietro scopri che ogni momento è pieno in sé e per sé. Ricordo quindi la pienezza di quei momenti, quando Bivona era il mio mondo e l’estero era Santu Stè, Cianciana, San Mmrasi, raggiungibile attraverso il portentoso motorino. Quando l’inverno significava scuola, con l’ebbrezza della socialità che gli ormoni fanno esplodere nel tuo corpo, aumentandoti i sensi. Ricordi quindi gli odori, i colori, i suoni, che sommati danno la scenografia di un momento. Ognuno quindi ricorda determinati flash della propria vita, possibilmente sciocchi e insignificanti agli occhi esterni, ma particolarmente significativi dentro di ognuno. Puoi ricordare per esempio un prato pieno di fiori sotto il sole di mezzogiorno di un giorno di Maggio di una vallata specifica, perché in quel momento stavi facendo qualcosa che aumentava i tuoi sensi. Puoi ricordare una particolare vaneddra perché chissà cosa è successo lì. Nel caso di Bivona, quasi in ogni punto possiedi un ricordo del genere. Ci ripassi e se sei abbastanza cosciente del tuo essere, puoi, come in una macchina del tempo, riassaporare quell'istante specifico. Riesci quindi a essere bambino, adolescente e adulto allo stesso tempo. Un trip mentale che non ha bisogno di droghe.

Alla fine queste sono le cose che ti plasmano e fanno che un posto sia speciale. Perché un pezzo della tua anima è rimasto lì. Ho lasciato pezzi della mia anima strada facendo. Una parte sostanziosa è rimasta ad Istanbul, sotterrata di proposito nel Corno d’Oro, come il tesoro del Capitano Flint, con il solo scopo che rimanga là e mai se ne vada. Ma una parte ancora più grande è rimasta a Bivona, non sotterrata, ma assorbita nell'aria.

Successivamente si sviluppa un proprio punto di vista (si cresce), ma è inevitabile che il primo imprinting è quello decisivo. Puoi cambiare città per tutta la vita. Puoi arrivare a chiamare quella città casa. Ma mai sarà come Bivona. E’ come la prima volta, non è la migliore ma è la più speciale. Perché la Bivonesitudine ce l’abbiamo scolpita dentro. Alcuni cercano di scapparvi, per via degli effetti anche negativi che può avere la vita di paese su di una persona, non capendo che ciò non è possibile se non al prezzo del proprio oblio. Altri vi rimangono attaccati, come ricordo dei paesaggi un po’ bucolici un po’ magici che il paese ti lascia dentro, contro il cemento della metropoli, a volte impersonale per chi viene da un paese.

Molti non riusciranno mai a superare l’esser dovuti andare via da Bivona, molti lo avranno fatto con piacere, molti si abitueranno e riusciranno a convivere con la loro nuova realtà, molti riescono a rimanere. Ma tutti, chi più chi meno consapevolmente, saranno affetti e intrisi di Bivonesitudine.
E’ questo che mi consente di vivere lontano dalla Sicilia, la consapevolezza che oltre ad averla tatuata su di me, è anche dentro di me. Ed è il mio parametro di confronto.

Me ne sono andato da poco, e anche prima, vivendo a Palermo, ho sempre avuto un occhio su Bivona. Per cui, al pari di chi ci vive stanzialmente, ho notato uno spopolamento, negli ultimi 7-8 anni, che ha assunto proporzioni diverse rispetto a prima. Probabilmente connesso con la crisi del 2008. Più gente se ne va e meno ritorna per le vacanze. E’ inevitabile, ognuno ha anche il diritto di spendere le sue ferie capitalisticamente telecomandate in un posto differente, ma è anche un po’ triste. Perché un posto senza le persone è un vacuo scheletro.

Sarebbe bello se si potesse istituire la “Simana di lu ritornu”. Un periodo in cui tutti i Bivonesi sono invitati ad essere presenti in paese e riempirlo come in precedenza e aizzare iniziative, dibattiti, eventi e il semplice fare Fuddra.

Bivona sarà sempre la mia casa, che possa mancare 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21 anni, non smetterò mai di amare quelle montagne e quella vallata, quegli odori, quei colori e quei suoni.

Hasta la vista.

Salvatore Midulla

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