Forestiero, forse che sì forse che no


Rispondo volentieri all'invito della Bivonesitudine. E subito mi sorge un dubbio sulla veste da indossare per condividere questo contributo: quella del forestiero a Bivona o quella del cittadino bivonese venuto dal suo altrove? Per non sbagliare vado nell'ordine. 

Il forestiero che arriva a Bivona gode della proverbiale accoglienza siciliana calda e prodiga di attenzioni. Di lui si dice che é "chiddu de lu nord" o qualcosa del genere (scusate sono forestiero), con ammirazione e curiosità.
Molti si chiedono cosa sia venuto a fare, qualcuno azzarda anche la risposta, ma il modo in cui gli autoctoni gli si rivolgono è cordiale e finanche troppo ossequioso.
Il forestiero va, viene, parte di nuovo e ritorna, felice di raccontare a quelli del nord di questo borgo adagiato sul lato della valle, dall'aria pulita, l'acqua abbondante e fresca, il buon mangiare e il calore della gente.
Bella Bivona con la sua aria decadente. Di lei, oltre la montagna arriva la fama, il cielo, la terra, l'aria il calore, le pesche. Da Lampedusa ad Aosta, di questo frutto delizioso parlano tutti, giusto di questo

Aspettate che cambio giacca. Et voilà. Eccomi, forestiero integrato, cittadino bivonese venuto dal suo altrove. Perché poi integrarsi è naturale, non solo necessario.
Chi ha vissuto in altre periferie, del sud e del nord, e ha avuto occasione di soggiornare e lavorare anche in periferie all'estero, crede profondamente nelle potenzialità di un luogo lontano dal caos, dove il pensiero e la creatività abbiano terreno fertile e tanti progetti culturali, imprenditoriali, sociali possano vedere la luce e contribuire alla vita della comunità.
Ed ecco che il forestiero integrato ne parla, propone, cerca consenso (non politico per carità) e confida nell'entusiasmo. Raccoglie sorrisi, strette di mano, apprezzamenti ossequiosi come quando era semplicemente "il forestiero", costruisce embrioni di iniziative e poi, aspetta. Realizza in proprio, senza chiedere nulla ad alcuno, qualcosa di utile, qualcuno dice di bello, poi riprende ad aspettare e intanto continua a proporre. 

Poi però si ferma perché di sorrisi di circostanza e strette di mano in campagna elettorale ne ha avuti abbastanza e intanto la dignità inizia ad urlare.
Ma che vuoi? Potrebbe chiedere qualcuno. La risposta è "nulla!". E allora -domanda successiva- che fai? Sputi nel piatto in cui mangi? E la risposta è ancora no, perché il piatto per mangiare, il forestiero integrato non se lo guadagna qui ma altrove. E quindi? Quindi, sarebbe bello che questa terra bellissima, bellissima non solo di paesaggi e coste, non solo di beni culturali e paesaggistici (decisamente non valorizzati a dovere) avesse più consapevolezza non solo di sé (perché a batterci le mani da soli si fa presto, tanto oltre la montagna non ci fila nessuno), ma si aprisse al nuovo, al mai visto, a tutto ciò che ignora, e lo guardasse con curiosità.
Mi piacerebbe che si seppellissero espressioni, che riporto in italiano anche se in lingua locale rendono di più, del tipo "ma cosa crede di fare? Ma chi ce l'ha portato? Fai conto che ha già chiuso!"
E ancora mi piacerebbe, a sintetizzare le fantasie che ho espresso fino a qui, che questo popolo così intenso buttasse nel ce... ehm... provasse ad accantonare quella che qui si chiama "ammidia" o qualcosa del genere (invidia non rende l'idea), questo atteggiamento sterile e sterilizzante che, nell'illusione di castrare il prossimo, castra un'intera comunità con le sue potenzialità inespresse ed il suo valore. 

Vivere qui, dopo anni ed anni di caos metropolitano, è una boccata di aria pura, un ritrovarsi e rigenerarsi in una lentezza che, ben gestita, è risorsa preziosa per costruire qualcosa per se stessi e per gli altri. Peccato che tutto questo sia generalmente poco apprezzato. Ma andiamo, anzi andate, avanti così, a battervi le mani. Oltre la montagna c'è un mondo, perché non farne parte?

Dario Albertini

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