La fortuna di nascere a Bivona



Ho avuto la fortuna di nascere a Bivona, ed aver passato la mia infanzia e adolescenza a pane persiche e cultura, proprio quello che si può descrive benissimo cosi…: ”di quando a Bivona il poeta Cesare Sermenghi, comunista soave, con una straordinaria indifferenza verso le lusinghe del potere, raccontava della possibilità di coniugare politica, verità e, perché no, anche poesia”. 

Si, la figura di Cesare Sermenghi, amico e compagno di mio zio, lo scultore Carmelo Cammarata, essendo vicini di casa, fra un bicchiere di vino, una scultura, una poesia e a volte anche la compagnia dell’amico Renato (Guttuso) che arrivava da Palermo, era proprio un quadro di veri luminari, che noi bimbi, ascoltandoli con la classica bocca aperta, rimanevamo abbagliati da quelle parole grandissime e affascinanti. 

Bivona, quel paese che mi ha cullato e cresciuto nel tempo che volava via. Tanti erano gli impegni e le cose da fare che non vedevi l’ora di alzarti, incontrare i tuoi amici, giocare la partita a pallone nel cortile delle scuole elementari, poi di corsa ‘n mezzo “a lu stratuni” affollatissimo, a gustarsi na “brioscia” da Bonanno, mentre mio cugino Peppe Grano, la guardia, continuava a usare il fischietto per fare defluire le macchine. Ai nostri occhi da marmocchi tutto ci dava l’idea di una metropoli. 

Con l’arrivo dei mezzi per la costruzione della diga Castello, Bivona diventò una vera città, con traffico ed ingorghi. Ma rimaneva pur sempre un luogo sicuro, si perché Bivona mi ha sempre dato sicurezza, quella stessa che svanì quando mio padre decise di emigrare al Nord. 

Era il gennaio ‘68, catapultato nel vero caos cittadino, a soli sei anni, le mie corse libere e sicure sparirono. Contavo i giorni per tornare nella mia Bivona, ritornare me stesso, godermi le mie vie, i miei amici, respirare l’aria profumata dalle pesche, e le lunghe discussioni notturne. Tutti i miei amici del nord non vedevano l’ora di andare al mare, io no! Bivona mi appagava completamente, non avevo bisogno di spiagge, ma solo di sentirmi me stesso, cullato dalla mia adorata Bivona. Ogni ripartenza poi era uno strazio. Era sempre una sorta di dividere il cuore che restava in via Sirretta ed il fisico che partiva per Milano. 

Con il passare degli anni andava tutto scemando, ma non tanto le mie emozioni per il ritorno quanto la graduale scomparsa di ciò che non trovavo più nel mio luogo natio. Un fenomeno, o una concatenazione di conseguenze, che hanno ridotto il paesello in poche anime. Non sta a me analizzare le cause del perché sia successa questa trasformazione, ma condivido il pensiero che è a dir poco paradossale nascere, crescere fra certe figure leggendarie e poi vedere la metamorfosi da centro culturale in realtà semi-desertica. 

Ammiro chi ha deciso di restare e costruire a Bivona, come lodo chi ha scelto altre vie, non scappando, ma cercando futuri migliori. Ho “odiato” mio padre per anni. Lo incolpavo di avermi strappato da Bivona. A quei tempi non capivo il perché, e per questo fuggii di casa a soli 12 anni per ritornare nella mia amata Bivona. Adesso con il senno di poi, ringrazio infinitamente i miei genitori per questa scelta coraggiosa fatta negli anni sessanta, e capisco perfettamente che lo hanno fatto con enorme sacrifici e per donarci un futuro migliore. Di certo mai e poi mai sapremo se è davvero stato un futuro migliore o se sarebbe stato migliore qualora fossimo rimasti. Nessuno può dirlo, quindi nel dubbio la scelta fatta non può che essere stata quella migliore, quella giusta. 

Bivona è l’emblema della Sicilia, già ai tempi chiamata la piccola Palermo, paese ricco di agricoltura, di acqua, di istruzione. Fa male saperla ridotta così! E fa ancor più male ascoltare/leggere discutibili discussioni su “chi rimane” contro “chi va via”. Magari fosse così semplice, ma sarebbe sbagliato complicarla più del dovuto. L’attenzione andrebbe dedicata altrove: “chi fa” contro “chi non fa”. E qui la distanza non influisce per niente. Difatti non è un problema di chilometri ma una questione di attitudine, di propensione alla proattività, di voglia di partecipare e contribuire ad un luogo a cui si è legati. Si può fare tanto da lontano e si può essere invisibili da vicino. Vale anche il viceversa. 

L’aspetto che davvero andrebbe sviscerato è quello di “Comunità”. Forse le divisioni evidenti che hanno con chiarezza spaccato il nostro paesino negli ultimi decenni non hanno contributo a tifare uniti per Bivona. Ecco perché siamo pian piano scesi dal podio dei paesi dei monti Sicani, con un andamento che sembra non vedere grossi ribaltoni nel recente presente. Più agiremo e ci comporteremo “a fazioni” e più continueremo a rimpiangere i tempi che furono. 

L’invidia, un altro mostro da non trascurare, rientra in questa analisi. Se chi rimane prova invidia per chi va via e viceversa, il ritorno ad una comunità unita non avverrà mai. L’invidia, purtroppo tanta tra i Bivonesi (lontani e vicini), andrebbe riconvertita e incanalata in condivisione, in partecipazione e in supporto vicendevole. Il nemico non è il Bivonese emigrato, né lu stifanisi o lu ciancianisi. L’avversario da battere è l’indifferenza

Cosa mi sta inculcando la Bivonesitudine? chi ha avuto la fortuna di nascere, come me, al nostro paese, HA LA FORTUNA DI PORTARE BIVONA NELL’ANIMO, SEMPRE, in qualunque parte del globo ci si trovi!! 

#BivonaUnited



Filippo Lo Pinto

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