Via Mantovano


Oggi, per la prima volta dopo giorni di maluttempu, qui è tornato il sole. Il suo calore trasporta la mia mente a quei fotogrammi degli angoli della mia Bivona, impressi nel cuore. Chissà se il campo di suddra a Tavulacci sarà fiorito, mi sembra quasi di sentire lu scrusciu chi fani mossa dal vento.

In questi giorni di isolamento, difficili per il nostro paese, le giornate procedono in balìa di una “falsa tranquillità”. E allora, il tempo per perdersi nei meandri della mente e nelle sue stanze dei ricordi è infinito. Soprattutto se si passano i giorni di quarantena in completa solitudine (mi sta niscennu lu sensu). Fortunatamente, a farmi compagnia ci sono le chiamate incessanti della mia famiglia e delle persone che amo, nelle quali, sostanzialmente, raccomandazioni e preoccupazioni seguono un ritmo schematico: “non nesciri di dintra”; “mi raccumannu, non ni fari stari mpenseri”; e ancora, ciliegina sulla torta: “disinfetta tutti cosi”.

Nelle mie stanze dei ricordi, ce n’è una, in particolare, che riapro sempre con profonda nostalgia e alla quale penso quando pronuncio “Bivona”. È la stanza che mi trasporta a quella che è sempre stata casa mia: via Mantovano. E pensare che proprio lì, m’arriva la famosa chiamata.

Ricordo ancora lo scompiglio che ebbe dentro di me, un vortice di emozioni contrastanti: gioia per la visione di un futuro prospero da vivere; paura di lasciare quelle pareti che fino ad allora mi aveva protetta e amarezza nel dover, inevitabilmente, lasciare la mia via Mantovano.

Riferita la notizia, ni la nostra viuzza si è brindato come se avessimo vinto alla lotteria. Una vittoria, però, che risulta alquanto amara. Si dovrebbe andar via solo per l’ebrezza di lanciarsi in una nuova avventura alla scoperta delle meraviglie del mondo, allontanandosi per un po’ dalla propria vita quotidiana e riscoprendo così quella sensazione straordinaria di libertà.

Da lì a poco anch’io sarei diventata una “Terùn” e sarebbe sprofondato anche il motto che a lungo avevo sbandierato: “non ni nni putemmu jre tutti, quarchi dunu ava ristari”. Due giorni dopo sono salita su quell’aereo con la rabbia nel cuore, una valigia piena di speranza e con le parole della mia cara nonna: “fa sacrifici ora mamà, ora ca si giovane! Ca u jornu po ti li trovi”.

È alquanto bizzarro pensare che proprio quando si sceglie di imboccare una strada che, inevitabilmente, mi ha condotta lontano da via Mantovano, scoppi una pandemia a livello globale.

Alba è stata il mio nuovo punto di partenza. Inutile raccontare della difficoltà vissuta nei primi giorni di questa nuova realtà. Giorno dopo giorno, ho imparato a ricostruire nuove abitudini; ho scoperto nuovi odori, colori e sapori; ho scoperto nuove tradizioni e imparato piccoli vocaboli del loro dialetto; ho conosciuto “i miei bambini” e persone meravigliose che porterò sempre dentro il mio cuore. Alba è sicuramente una città incantata, piena di vita, traboccante di bellezza, patria della Nutella e del rinomato “tuber magnatum pico”: il tartufo bianco (un gusto non per tutti).

Eppure, tutto quello che ho visto, assaggiato e sperimentato non ha mai fatto vacillare la mia Bivonesitudine e, aggiungo, la mia “Mantuvanisitudini”.

Sà viuzza, nel cuore di Bivona, è da sempre stata il mio Locus amoenus: luogo in cui si concentrano i miei ricordi più cari. Via Mantovano è il terreno in cui sono stata piantata, in cui sono stata innaffiata e in cui sono fiorita. Quante avventure con il clan dei cugini: “I magnifici 5”. Ogni giorno c’era una nuova missione da inventare, nuovi luoghi da perlustrare, sciarre da evitare, nuove alleanze da stringere con i bambini di funtana Pazza e qualche dannu di cuminari. In questo caso, immancabile era l’entrata in scena dell’arma segreta della nonna: la temutissima paletta.

Allo stesso modo, indimenticabile è la “settimana di la sarsa”, rigorosamente fatta ni lu misu d’agustu, dopo un’accurata selezione di li pumadoru da parte della nonna. Ogni annata era un trauma per noi Magnifici 5. Svegli all’alba e via, la giornata iniziava ma non si sapia quannu finiva. Il risultato, però, aveva sempre un profumo e un sapore inconfondibile ed introvabile. E ancora, le memorabili giornate passate a scoprire ceste con vecchi abiti, tesori impolverati in soffitta e album fotografici un po’ ammuffiti. Lì, dove la vita è trascorsa troppo velocemente è conservato un vero e proprio tesoro di contatti, sapori e odori. Ogni angolo di sa viuzza rievoca un preciso istante, ed è subito: “matri! ma tutto stu tempu ha passatu”.

Via Mantovano è sede di due dei miei più alti pilastri: Gnazio e Sarina. Due saggi, due “custodi della bellezza bivonese” che (come tanti altri) hanno saputo, con amore, tramandare racconti, tradizioni, valori, proverbi, aneddoti sulla loro vita, tanto travagliata, e sul loro amato paese. La Bivona che noi tutti amiamo è proprio questa. Non è fatta di pietre e di mattoni ma di persone come i nostri nonni e i nostri genitori che da sempre ne sono stati l’anima e che l’anima le hanno dedicato. Un’amore forte che hanno trasmesso alle loro generazioni future; un’amore fedele che ha sorretto Bivona nei suoi momenti di sconforto e che credo la salverà dal suo declino.

Via Mantovano e Bivona sono e saranno sempre l’unica quercia sotto la quale tornerò in cerca di rifugio nelle burrascose giornate da dimenticare; l’unico luogo in grado di saper donare pace ai miei pensieri.

Francesca Puzzo

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